riccardo l’nfermo

il mio regno per un pappagallo
liberamente ispirato al “Riccardo III”
di William Shakespeare
drammaturgia Francesco Niccolini e Roberto Abbiati
si ringrazia per il contributo alla produzione Armunia

Sognano i clown? ed hanno mai incubi?
E che incubi può avere un clown?
Come in un film: dopo il successo di un personaggio, come si fa ad ucciderlo? ecco dunque che dall’ultimo spettacolo dei Clown del Teatro d’Artificio, “The Clown Shakespeare Company”, resuscita uno dei cadaveri eccellenti, quel Riccardo III che a tanti spettatori, a fine spettacolo, uscendo dalla sala, ispira la canzoncina che Riccardo disperatamente cerca di cantare mentre accoppa Falstaff… è un delirio? forse, ma siamo nel mondo dei clown, dove tutto è concesso.
Così, Roberto Abbiati, clown milanese, reinterpreta le gesta del più sanguinario degli eroi shakespeariani: Riccardo di Gloucester, alias quello “piscinin, brut e catiff”: saltando da Londra alla Brianza, dall’inglese al dialetto delle campagne lombarde, “Il mio regno per una pappagallo” mischia brandelli shakesperiani alla storia quotidiana di un attore/clown, con le sue paure e gli incontri, quelli veri, con le persone, con la malattia, con chi ieri c’era e stamani al risveglio non c’è più. Un lungo sogno, un po’ buffo ed un po’ malinconico, destinato a coinvolgere il pubblico più di ogni ragionevole immaginazione…
“E’ impossibile costruire un discorso sensato intorno a questo Riccardo “piscinin, brut e catiff”: affascina perché contiene ogni mio sogno (“Mai donna fu corteggiata in questo stato… la prenderò, ma non la terrò a lungo!”) ed incubo (“Dispera e disperando muori!”), abisso (di sangue) e paradiso terrestre (la corona), circondato da bellezza e stupidità, maledizioni e malattie. E’ disastroso e sozzo di sangue, eppure gioca come un bambino. O forse i bambini giocano come lui.”

RECENSIONI

Andrea Pocosgnich Teatro e Critica

Riccardo l’infermo è uno spettacolo squinternato, delicatamente surreale, a tratti geniale e come spesso accade con gli spettacoli di Roberto Abbiati, è un lavoro sincero, che forse non pretende di essere un capolavoro, ma che anzi mette in campo e problematizza la crisi dell’attore-autore.

E’’intrusione di Riccardo nel corpo di Abbiati è una clownerie, il fisico dell’attore, che già porta con sé la finzione del ginocchio malandato, accetta la possessione shakespeariana curvandosi e riempiendosi di tic; è giocoleria pura, un effetto speciale che si autodistruggerà quando l’attore scenderà per l’ennesima volta dal palco per spiegare la storia del Riccardo III. E il pubblico sorride per questo Buster Keaton capace di prendersi gioco di certi stilemi post drammatici poggiando i piedi sullo strettissimo crinale che divide l’adesione dalla critica, il mondo della scena con quello che c’è fuori, inglobando la platea e respingendola al grido di: «Il mio io regno per un pappagallo».

Luca Lotano Krapp’s Last Post

Roberto Abbiati, Riccardo l’infermo che travolge il pubblico
Lo storpio e sanguinario eroe shakesperiano si cala nei panni di un uomo “piscinin brut e catiff”, che con il viso pallido e la gestualità buffa e malinconica di un clown si accattiva le simpatie delpubblico.
Intanto in sala si ride, e molto, per le rocambolesche invenzioni sceniche.
Sembra tutto lo strano sogno di un clown, e forse lo è davvero; d’altronde è lo stesso autore a dire che “è impossibile costruire un discorso sensato intorno a questo Riccardo III, forse non si riesce neanche a capire la trama, forse non si comprendono neanche le parole, e anche il corpo spesso si rifiuta di raccontare si accartoccia, e da queste storture salta fuori il personaggio più vero quello con l’esigenza di raccontare, di vivere, di non morire”.